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Wyszukujesz frazę "STEREOTYPES" wg kryterium: Temat


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Tytuł:
La Graeca fides e la falsità moscovita nel discorso polacco premoderno. Storia di un topos
Graeca fides and the Perfidy of the Muscovites in the Polish Early Modern Discourse. History of a Topos
Autorzy:
Krzywy, Roman
Powiązania:
https://bibliotekanauki.pl/articles/28409083.pdf
Data publikacji:
2015
Wydawca:
Associazione Italiana Polonisti (AIP)
Tematy:
Old Polish Literature
Polish-Russian Relations
National Stereotypes
Topic
Opis:
The article discusses the usage of the classical topos Graeca fides to describe the citizens of the Grand Duchy of Moscow in early modern Polish literature (chronicles, diaries, journalistic writings, diplomatic reports etc.). This way of speaking was justified by the identification of the Eastern Orthodox Church with the Greek Byzantine Rite. The formula was used to deprecate Russians and became part of a negative stereotype. The author demonstrates, with diverse examples, how this formula became a constant topos in statements about a country considered hostile in Poland since the 16th century, and in which contexts it was developed.
Źródło:
pl.it / rassegna italiana di argomenti polacchi; 2015, 6; 23-38
2384-9266
Pojawia się w:
pl.it / rassegna italiana di argomenti polacchi
Dostawca treści:
Biblioteka Nauki
Artykuł
Tytuł:
Le “pagine sempre mediocri” di un premio Nobel per la letteratura. Excursus nella critica deleddiana del suo tempo
The ‘Always Mediocre’ Writing of a Nobel Laureate in Literature: The Critical Reception of Grazia Deledda
Autorzy:
Bordry, Marguerite
Powiązania:
https://bibliotekanauki.pl/articles/34670923.pdf
Data publikacji:
2024-06-30
Wydawca:
Wydawnictwo Adam Marszałek
Tematy:
Grazia Deledda
women’s writing
gender stereotypes
regionalism
exclusion from the literary canon
scrittura femminile
stereotipi di genere
regionalismo
esclusione dal canone
Opis:
The reception of the work of Grazia Deledda (1871–1936) is a conspicuous paradox. Although she was a successful author and a Nobel Prize winner (1926), she is little known and little studied, especially when compared with the other Nobel laureates, in particular male ones. My aim is to investigate the origins of Deledda’s ‘misfortune’ by exploring the common issues critics raised with respect to Deledda’s books in her day. One of those was, prominently, Deledda’s alleged imperfect style, a recurring theme in criticism throughout her career. Also, the Sardinian dimension of her works left no critic indifferent and led to her writing often being reduced to ‘regional’ or ‘folkloric.’ Many critics insisted that Deledda’s Sardinia, little known on the ‘Continent’ at the time, enjoyed considerable success precisely because of its ‘exotic’ quality. Finally, Deledda’s status as a woman writer was a salient factor in the reception of her work. Indeed, critics tended to adopt a condescending, or even sexist, tone, whether their assessment of Deledda’s work was favourable or detractive, which was a real commonplace in the reception of women authors back then. My aim is to investigate the role of these issues in the exclusion from the canon of a writer who has remained unique in Italian literature to this day.
La ricezione dell’opera di Grazia Deledda (1871–1936) costituisce un vistoso paradosso. Sebbene sia stata un’autrice di successo, la prima e unica scrittrice italiana ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura (1926), è indubbiamente oggi la meno nota dei vincitori italiani del Nobel. Fu perfino derisa da colui che avrebbe vinto il Nobel dopo di lei, Luigi Pirandello, autore di un romanzo che la ridicolizza apertamente. Grazia Deledda rimane tuttora poco nota e decisamente poco studiata, soprattutto se paragonata agli altri vincitori del Nobel – non a caso tutti maschi. In questo articolo si indagano le origini della “sfortuna” deleddiana esplorando la critica coeva e concentrandoci sui temi che accomunano i critici. Primo fra tutti il suo presunto brutto stile, un tema ricorrente nei giudizi critici. La dimensione sarda delle sue opere, poi, non lascia nessun critico indifferente e la conduce a essere spesso ridotta alla parte di autrice “regionale” o “folkloristica”. Per molti, la Sardegna di Grazia Deledda, ancora poco nota nel “continente”, riscuote un successo notevole proprio per via della propria dimensione “esotica”. Infine il suo stesso statuto di autrice entra in gioco nella ricezione della sua opera. Come spesso accadeva all’epoca, si notano in effetti ricorrenti osservazioni condiscendenti, o addirittura sessiste, da parte dei critici, favorevoli o meno, il che costituisce un vero e proprio luogo comune nella ricezione delle autrici del tempo. L’intento è dunque di indagare il ruolo di questi temi nell’esclusione dal canone di quella che rimane ancora oggi un caso unico nella letteratura italiana.
Źródło:
Italica Wratislaviensia; 2024, 15.1; 66-84
2084-4514
Pojawia się w:
Italica Wratislaviensia
Dostawca treści:
Biblioteka Nauki
Artykuł
Tytuł:
Rappresentazioni mentali e serie interpretative. L’infinito e Alla luna in polacco
Mental Representations and Interpretative Series: Giacomo Leopardi’s L’Infinito and Alla luna in Polish
Autorzy:
Ceccherelli, Andrea
Powiązania:
https://bibliotekanauki.pl/articles/2162250.pdf
Data publikacji:
2022-12-31
Wydawca:
Wydawnictwo Adam Marszałek
Tematy:
Giacomo Leopardi in Poland
mental representation
cognitivism and translation
stereotypes in translation
intentio interpretis
Giacomo Leopardi in Polonia
rappresentazione mentale
cognitivismo e traduzione
stereotipi in traduzione
Opis:
The article examines the Polish ‘translation series’ of two idylls by Giacomo Leopardi: L’infinito and Alla luna, focusing on selected linguistic and cultural factors behind the translators’ choices. In L’Infinito, one notices a recurrent difficulty in effectively rendering the alternation of the demonstratives questo and quello and the key metaphor of naufragare. In both cases, the purported Polish lexical counterparts fail to produce an adequate mental representation, and as a result the scene constructed by the translators hardly conveys the scene constructed by the author. For their part, the Polish versions of Alla luna display a striking interpretative tradition of the last verse, with the second che in ‘ancor che triste e che l’affanno duri’ understood by all translators in an optative sense (as a wish), rather than in a concessive sense. Having used the variantist approach to show that the intentio auctoris unequivocally provides a concessive phrase and that the intentio operis does not admit the stereotype of masochism (a degeneration of the topos of Leopardi as a Weltschmerz poet), I focus on the intentio interpretis (a specific form of intentio lectoris) and argue that this tradition of translatory infidelity stems not only from the probable reliance of each version on its predecessor(s) (typical of what textual philology calls ‘conjunctive errors’), but also – given the absence of such an interpretative tradition in other languages and cultures – from the Polish translators’s unconscious mental predisposition to accept such a misrepresentation. The roots of this predisposition are to be found in the history of Polish culture as it has been formed – and deformed – since the 19th century, when the cult of suffering became central to it.
L’articolo prende in esame le “serie traduttive” polacche di due idilli di Leopardi: L’infinito e Alla luna, concentrandosi su alcuni fattori linguistici e culturali che condizionano i traduttori, indirizzando le loro scelte. In particolare, nell’Infinito si nota una difficoltà a rendere l’alternanza dei dimostrativi “questo” e “quello” e la metafora chiave del “naufragare”: in entrambi i casi la lingua polacca pone ostacoli in termini di rappresentazione mentale suggerita dai presunti equivalenti lessicali, con la conseguenza che la scena costruita dai traduttori fatica a porsi come equivalente rispetto alla scena costruita dall’autore. Nelle versioni polacche di Alla luna colpisce invece la tradizione interpretativa riguardante l’ultimo verso: il secondo “che” di “ancor che triste e che l’affanno duri” è infatti inteso da tutti i traduttori in senso ottativo – come un auspicio. Dopo aver mostrato, tramite la variantistica, che l’intentio auctoris prevede inequivocabilmente una frase concessiva e che l’intentio operis non ammette lo stereotipo del masochismo (degenerazione del topos di Leopardi cantore del Weltschmerz), l’articolo si concentra sulla intentio interpretis (forma specifica di intentio lectoris), ipotizzando che all’origine di tale tradizione di tradimento traduttivo vi sia non solo la probabile dipendenza di ogni versione da una o più di quelle che la precedono (come è il caso di quelli che la filologia testuale chiama “errori congiuntivi”), ma anche – a fronte dell’assenza di tale tradizione interpretativa in altre lingue e culture – un’inconscia predisposizione mentale dei traduttori polacchi ad accettare un simile travisamento; predisposizione le cui radici sono da cercare nella storia della cultura polacca quale si è andata formando – e deformando – a partire dall’Ottocento, soprattutto in riferimento al ruolo che in essa occupa da allora il culto della sofferenza.
Źródło:
Italica Wratislaviensia; 2022, 13.2; 15-34
2084-4514
Pojawia się w:
Italica Wratislaviensia
Dostawca treści:
Biblioteka Nauki
Artykuł
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